Da ormai diversi anni il mercato dell’entertainment propone in maniera più o meno costante remake di vecchi successi, a detta di molti a discapito di nuove produzioni. La cosa però va vista come una grave crisi creativa del settore oppure come frutto di una scelta di marketing deliberata?
Repetita iuvant dicevano i latini… solo che arrivati ad un certo punto viene da chiedersi se c’è davvero bisogno ancora di ripetere le stesse cose. Non è certo un mistero infatti che, da un po’ di tempo a questa parte, l’industria dell’entertainment sembra aver preso un po’ troppo alla lettera questo motto e abbia cominciato a produrre remake, remastered, reboot, sequel, prequel e chi più ne ha più ne metta, andando il più delle volte a spingere su questi invece di dedicarsi a progetti nuovi e originali. Dopo tanto favoleggiare siamo infine giunti alla crisi definitiva del cinema? La “fabbrica dei sogni” ha esaurito definitivamente la materia prima?
Una scelta dettata dal mercato
Parliamoci chiaro: l’industria cinematografica non è più quella di una volta… e non mi sto certo riferendo al prezzo dei pop-corn! Dopo il boom degli anni ’50 e ’60, a partire dalla seconda metà degli anni ’70 fino ad oggi le varie major, per tentare di superarsi a vicenda e proporre , hanno continuamente alzato l’asticella dei costi con ogni nuova produzione: siamo infatti passati da un budget medio di 50 milioni di dollari per le grandi produzioni (cifra che negli anni ’80 era considerata esorbitante) a kolossal i cui bilanci di fine riprese sfiorano i 400 milioni!
Con delle spese così alle spalle è ovvio che un eventuale flop al botteghino possa risultare catastrofico: se a questo poi aggiungiamo anche la concorrenza fatta al cinema oggi dal web e dai vari servizi di streaming unita al problema della pirateria, non sembra poi così strano che perfino i colossi di Hollywood non possano più permettersi rischi come in passato. Come fare quindi per continuare a produrre nuove pellicole riducendo al minimo l’eventualità di un potenziale tracollo? Semplice: riproponendo titoli e saghe che hanno già il favore del pubblico.
Il remake si pone dunque come la soluzione più ovvia al problema sopra descritto: se il rischio del fallimento deriva dal voler proporre un prodotto originale estremamente costoso che il pubblico potrebbe non apprezzare, allora basta eliminare il fattore originalità e riproporre come “nuovo” un film che ha già avuto in precedenza un enorme successo per aggirare l’ostacolo. A quel punto le varie spese associate alla produzione, per quanto comunque astronomiche, divengono un investimento apparentemente sicuro e molto più appetibile dal punto di vista finanziario.
Per quanto questa pratica dunque sia basata sul principio base del mercato di domanda e offerta, ciò non la rende del tutto esente da rischi: perfino titoli che sulla carta dovrebbero risultare in guadagni sicuri possono rivelarsi successivamente dei flop alla prova del pubblico. Per questo le varie major non si limitano a prendere un titolo a caso tra i vari che hanno fatto la storia del cinema o che comunque sono ricordati con affetto dal pubblico, ma svolgono prima delle approfondite ricerche di mercato e si dedicano esclusivamente a quei progetti che, stando alle stime, hanno le maggiori probabilità di successo.
In un panorama simile è quindi lecito dire che non esistono più film originali? Certo che no, solo che sono cambiati i canali di distribuzione: dove prima erano i grandi produttori di Hollywood e del cinema mondiale ad osare, producendo e distribuendo anche pellicole sperimentali con la certezza di poter attutire le perdite in caso di fiasco, adesso sono i colossi del web entertainment come Netflix e Prime Video a immettere nuova linfa nel settore cinematografico, che grazie ai loro servizi di streaming proprietari possono permettersi di distribuire le loro opere con costi minori e senza passare dai canali tradizionali.
Tutto da rifare?
Abbiamo appurato dunque i motivi dietro queste scelte e quali rischi comportino le produzioni originali. Quindi dovremmo bocciare tutte le pellicole recenti appartenenti alla categoria dei remake solo perché sono figlie di una scelta monetaria più che artistica? La risposta per fortuna è no: certo, molti dei blockbuster più inflazionati degli ultimi anni hanno ben poco di cui andar fieri e molto di cui rendere conto, ma non si può nemmeno negare che vi siano state anche una buona dose di eccezioni illustri in grado di risollevare l’intero filone.
Un esempio, a mio parere, che merita attenzione tra i tanti è la recentemente conclusasi nuova trilogia del Pianeta delle Scimmie: al suo annuncio vista dai più come un pretesto per lucrare ulteriormente su una licenza ormai esaurita (anche a causa del precedente fiasco di Tim Burton di riportare in auge il franchise) si è invece rivelata essere un’opera degna di nota, capace di distaccarsi a sufficienza dal materiale originale da divenire un piccolo gioiello della fantascienza a sé stante e guadagnarsi il plauso di pubblico e critica.
Vi sono molti altri prodotti di questo genere che hanno contribuito al successo di questo genere grazie alla loro qualità, che ora qui non starò ad elencarvi per esteso. Questa però è la dimostrazione lampante che il problema non è la pratica in sé, quanto le persone a cui vengono affidati tali progetti e la cura con cui poi essi vengono portati a termine. Nonostante per le case di produzione il fine ultimo sia ovviamente il profitto e quindi siano più propense ad investire su idee “già collaudate”, fortunatamente nella maggior parte dei casi viene lasciata abbastanza libertà creativa da permettere ad un bravo regista di dare la propria interpretazione dello script.
L’era dei remake
Possiamo dunque concludere che, se da un lato le grandi case siano decise a non rischiare proponendo per la maggior parte titoli di sicuro richiamo, dall’altro questo non implica per forza che si tratti di prodotti infimi o scadenti e che, se affidati nelle giuste mani, tali progetti possano rivelarsi infine dei tributi ai grandi capolavori del passato degni di rispetto.