Mi sveglio in un lunedì piovoso con l’intento di scrivere un articolo circa la recente inchiesta del Wall Street Journal sugli effetti di Instagram sugli adolescenti quando, sfogliando le notizie del giorno sul mio smartphone, mi trovo il volto di Frances Haugen, ingegnera informatica dell’Iowa ex dipendente di Facebook che, come aveva annunciato, è uscita allo scoperto e ha portato con sé una serie di documenti confidenziali.
Quindi neanche il tempo di metabolizzare un’informazione su cui molti già sospettavano – ossia che i modelli di fisicità, aspetto e felicità promossi da Instagram non solo sono falsi, ma influiscono in maniera pesantemente negativa soprattutto sugli adolescenti, spingendoli a sviluppare ansia, depressione e disturbi alimentari – che arriva questa nuova valanga di fango per Mark Zuckerberg ed i dirigenti di Facebook.
Social Network: il lato oscuro
Long short story Frances Haugen, che lavorava come analista di dati, ha rivelato come le scelte aziendali di Facebook siano maggiormente indirizzate ad allentare il controllo sui messaggi di odio e di disinformazione, invece che controllarli e limitarli. Questo perché l’azienda americana sa bene che le persone sono più propense a interagire con messaggi che toccano la sfera emotiva, e la rabbia è una delle emozioni più forti. Maggiori interazioni significano per Facebook maggiori entrate pubblicitarie. Quindi, maggior profitto.
Sorpresa! Un’azienda che opera all’interno di un mercato neoliberista, il quale ha come scopo ultimo l’accumulo di ricchezza, mette in secondo piano gli utenti, il suo pubblico, per mettere in primo piano i suoi interessi economici. L’avreste mai detto?
Secondo Haugen le scelte aziendali di Facebook sarebbero ulteriormente peggiorate dopo le elezioni del 2020, allentando ulteriormente il controllo su odio e disinformazione. Questo allentamento avrebbe permesso, tra le altre cose, l’accadimento dei fatti di Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Frances Haugen parla di «tradimento della democrazia», perché le scelte dell’azienda di Menlo Park non avrebbero effetti negativi solo sulla salute psicofisica degli utenti, ma avrebbero ripercussioni dirette sulla tenuta sociale e democratica dei Paesi nei quali Facebook opera.
Conflitto di interessi
Che vi fossero lati negativi dei social non è una reale sorpresa, d’altra parte questi erano evidenti. Quello su cui le recenti inchieste e rivelazioni stanno ponendo l’attenzione è che i dirigenti di Facebook erano perfettamente a conoscenza di tutte queste informazioni su effetti nefasti e allentamento dei controlli. Infatti provengono proprio da ricerche e scelte interne alla stessa azienda. Haugen dichiara che «ho visto ripetutamente conflitti di interesse fra quello che era buono per il pubblico e quello che era buono per Facebook, e Facebook ogni volta ha scelto quello che era meglio per lei».
Che le aziende dietro i social fossero enormi macchine da soldi era lampante, bastava guardare i bilanci. Quello che ora si rende sempre più evidente è che i dirigenti, di Facebook in questo caso, sapessero tutto su rischi, problemi e danni e che, pur sapendo, abbiano volutamente deciso che il guadagno personale fosse più importante dei danni provocati o non limitati. Qualcunə dirà che era cosa già risaputa, ma voglio ricordare che un conto sono i sospetti e un conto sono fondate accuse basate su prove. Se finora avevamo avuto solo sospetti, adesso ci sono certezze.
Non solo. E’ anche una certezza il fatto che i dirigenti di Facebook che finora sono stati chiamati dal Congresso americano a testimoniare sulle responsabilità aziendali in materia di sicurezza abbiano mentito riguardo ai progressi fatti proprio per la tutela degli utenti.
Un discorso etico sui social network
Dopo lo scandalo di Cambridge Analytica, ora arriva la pubblicazione dei dati interni a Facebook. Mi verrebbe da pensare che siano tempi duri per Zuckerberg e i suoi dirigenti, ma non sono del tutto sicuro che sia realmente così. Di certo queste rivelazioni non faranno bene all’immagine aziendale, ma se influiranno davvero sul fatturato aziendale e sulle politiche interne è tutto da accertare. Questo perché probabilmente (ma non è il mio campo di studi e di interessi) non emergeranno violazioni di leggi. Ben diverso è il discorso etico, sul quale occorrerebbe farsi più di qualche domanda e occorrerebbe aspettarsi dalle istituzioni pubbliche (le quali invece dovrebbero avere estremamente a cuore la salute pubblica e la tenuta sociale) una presa di posizione nei confronti di Facebook ed in generale del sistema dei social network.
Ciò non significa decidere di chiudere tutto o di comminare una multa all’azienda. Si tratta di intraprendere un percorso di analisi dei problemi evidenziati, di confronto con quel mondo della ricerca che da anni cerca di mostrare i lati oscuri dei social e, cosa più importante, di ripristino delle priorità, laddove la salute dei cittadini sia cosa ben più importante rispetto agli introiti pubblicitari di un’azienda, e laddove una corretta informazione e la censura delle falsità siano alla base dei processi democratici di una comunità. A quel punto viva la libertà di espressione che i social possono fornire, sia essa un post scritto, una foto, un video o altro. Ma, al di là dell’esperienza del singolo utente, i social network sono ben altro e ben di più e hanno una enorme influenza sulla vita materiale di tutti i giorni (nelle nostre scelte di vita, di acquisto, ideologiche, ecc.). Sarebbe ora che si chieda alle aziende di rendere conto anche e soprattutto dei danni creati a fronte degli enormi guadagni fatti.