Il Woman’s Equality Day, cioè la giornata dei diritti delle donne, è una ricorrenza americana e questo lo sappiamo tutti. E allora perché ha senso parlarne anche in Italia? In fondo, la Festa della Donna c’è, è l’8 marzo, basta e avanza no?
Ricordiamo brevemente da dove viene questa data: il 26 agosto 1920, negli Stati Uniti, passa il 19esimo emendamento, che dà il diritto di voto alle donne. Cinquant’anni dopo, nel 1970, venne organizzato uno sciopero per sottolineare le disparità che ancora c’erano, nonostante il diritto di voto, nelle condizioni e nelle retribuzioni delle donne.
A distanza di 100 anni da quel 26 agosto 1920 viene da chiedersi se le cose siano ancora come negli anni 70, quando il Woman’s Equality Day è stato istituzionalizzato.
Woman’s Equality Day: ha ancora senso parlarne in Italia?
Giunti nel 2021 non ci dovrebbe essere più nessuno che distingue le persone in base al genere, siamo seri. Eppure vi garantisco che non è così. Io stessa, qualche anno fa, sono stata assunta in un ambiente lavorativo di soli uomini perché c’era bisogno che ci fosse “almeno una donna”.
Alla fine del contratto ho ricevuto un trattamento diverso rispetto ai miei colleghi uomini, mi sono sempre sentita in minoranza, schiacciata, nonostante i miei colleghi uomini fossero persone deliziose.
In effetti, se pensiamo all’Italia, ci troviamo davanti ad una paradossale situazione in cui i diritti delle donne vengono sbandierati, sballottati dalla propaganda di destra e sinistra in egual misura tra quote rosa e quote mamma. Come se le donne fossero una minoranza da tutelare e non la metà del genere umano.
Come scrive Michela Murgia (“Stai Zitta”, Einaudi 2021, p.19) “Il fatto che si pensi alle donne come variante della cosiddetta normalità è significativo, perché rivela che gli uomini sono persone e le donne sono “il genere femminile”, l’eccezione che rappresenta solo sé stessa, mentre il maschile è la norma che rappresenta tutti”.
E infatti si ricorda il Woman’s Equality Day, non il Man’s Equality Day. Le quote rosa e provvedimenti simili sono strumenti utili, ma contengono un errore di fondo, e di per sé, anche una discriminazione, seppure “positiva”, sulla base del genere.
Esiste una parità di diritti?
Sei contraddittoria, direte voi: dici che ha senso il Woman’s equality day e poi dici che non hanno senso le quote rosa. Insomma, si può sapere cosa vuoi?
Il problema sta proprio in questa contraddizione: avrà senso che esista una giornata per i diritti delle donne fino a quando i governi avranno bisogno di istituire le quote rosa per garantire che all’interno delle strutture lavorative, politiche e sociali ci sia posto per le donne.
La reale parità di diritti si avrà quando nessuno distinguerà più una posizione in base al genere, quando potremo aspirare ad una posizione lavorativa o sociale in quanto essere umano con delle qualità e competenze specifiche, non in quanto donna o uomo.
Solo allora non avrà più senso parlare di diritti delle donne in contrapposizione a quelli del “resto del genere umano”, perché allora tutti avremo gli stessi diritti.
Un ultimo accenno: abbiamo parlato di diritti delle donne dando per scontato il binarismo di genere, solo perché questo è il tema della giornata, ma ricordiamo che le questioni si ampliano e diventano ben più complesse alla luce del fatto che i generi sono più di due.